mercoledì 23 novembre 2011

Esperimento

Oggi guardo la data sul calendario e mi accorgo che praticamente è già passato un mese dall'ultimo post. Incredibile.
Ormai sono in maternità facoltativa e procedo con l'esperimento della lingua inglese, a dire il vero parecchio faticoso e poco naturale. Comunque persevero con i cd di lullabies e il mini vocabolario per bebè che sto apprendendo.
Ieri sera ho anche provato a leggere un libro a Giorgia. Ora sto leggendo "Il fumo di Birkenau" e avendo poco tempo a disposizione ho provato a leggere a Giorgia quello, anziché le solite filastrocche. Mi sembrava interessata! In realtà credo che per ora le interessi solo il suono della mia voce, però era tutta attenta. Mi è piaciuto molto. Lo rifarò di sicuro.

mercoledì 26 ottobre 2011

Effetti collaterali

L'effetto collaterale di un figlio? Che vedi talmente poco tuo marito che lui non si ricorda nemmeno più come ti chiami. In senso letterale, dico. Ieri sera il mio mi ha chiamata Luisa :-(

lunedì 24 ottobre 2011

LE SCOPERTE DI PALLINO (racconto per concorso Borgo Loreto)

Guardo Pallino, il mio soriano dal pelo candido come neve, avventurarsi fuori dalla porta finestra e poi veloce giù per la grondaia. Va a spasso per i balconi e i terrazzi di via Vittorio Emanuele impettito come un damerino ottocentesco in cerca di avventure. Lo vedo uscire tutte le mattine verso le 10, ma oggi mi chiedo dove sparisce e decido di seguirlo. Certo calarmi dalla grondaia non è una soluzione praticabile, quindi mi sbrigo ad uscire dal civico 51 sperando che Pallino nel frattempo non svanisca nel nulla. Uscita dal portoncino di casa guardo in su e lo intravedo, beatamente appollaiato sul balcone dell’ottico Simonato, che osserva attento le vetrine della macelleria accanto. Quando comincio a pensare che in realtà le sue avventure non sono altro che la ricerca di un boccone particolarmente ghiotto, eccolo partire veloce come un fulmine in direzione di Loreto. Quasi lo perdo di vista, ma poi scorgo la coda entrare nella chiesetta omonima da uno spiraglio di finestra lasciato aperto in occasione delle pulizie annuali in vista della festa settembrina. Mi avvicino, sbircio dentro. Buio. Di Pallino nessuna traccia. Prima o poi lo vedrò pur uscire, mi dico. E così mi siedo davanti all’ingresso della chiesetta e osservo la vita passare: una signora con pesanti borse della spesa, una nonna con nipotina sul passeggino ormai sgangherato, un uomo di mezz’età con bicicletta anni ’60 e polo a righe… ma di Pallino nemmeno l’ombra.
Rintoccano le 12. E’ impossibile che Pallino sia ancora dentro la chiesetta –a far cosa, poi?- ma d’altronde non l’ho visto uscire, e sono sempre rimasta piazzata davanti alla piccola entrata.
Torno a casa per prepararmi un pasto veloce e noto Pallino che mi scruta con aria maliziosa al di là della porta finestra. Mi è sfuggito, anche se non capisco come ciò sia potuto succedere. Decido che scoprire qualcosa in più sulle sue avventure diurne diventa una questione di principio e che lo pedinerò fino a quando non verrò a capo della faccenda.
Il mattino dopo, quando Pallino si cala per la grondaia, arraffo la borsa e mi precipito giù per le scale più veloce che riesco. Pallino sta di nuovo ammirando le salamelle in vetrina come a pregustare un delizioso bocconcino e sembra che mi attenda. Con calma, si avvia verso Loreto ed eccolo sparire ancora tra le sbarre della piccola finestra vicino all’ingresso. Non mi perdo d’animo e recupero le chiavi che mi sono fatta prestare dai priori con una scusa. Entro. Appena gli occhi si sono abituati alla penombra mi guardo intorno in cerca del soriano. La cappella è piccola eppure lui si è nascosto bene perché non riesco a individuarlo da nessuna parte: ispeziono i banchi, sposto la tovaglia ricamata dell’altare, ammucchio i cestini portati per la festa. Niente.
Ad un tratto, un movimento nell’angolo attira la mia attenzione: mi avvicino e scorgo un buco grosso quanto una mela, proprio in fondo alla cappella. Pallino di certo si è infilato lì dentro.
“Strano –penso rientrando a casa- nessuno si è mai accorto del muro rovinato, chissà da quanto è così. Magari ci passano i topi e Pallino è interessato a quelli”.
Nel pomeriggio, però, decido di tornare per un sopralluogo e dare un’occhiata ulteriore alla fessura: in ogni caso bisognerà ripararla a breve, magari con i fondi raccolti con il banco di beneficenza organizzato ogni anno per la festa. Mi chino con il viso all’altezza del foro e mi pare di sentire dell’aria fresca. Che ci sia un passaggio con l’esterno? No, mi dico, è estate, l’aria sarebbe piuttosto calda se arrivasse dall’esterno. Vado a controllare fuori e in effetti non trovo nessuna fenditura, o crepa, o altri segni di rovina. Il mistero si infittisce.
Torno con i priori e faccio loro vedere la mia scoperta, o meglio la scoperta di Pallino. Concordano sul fatto che la cappella vada sistemata al più presto e decidono di coinvolgere il Comitato dei festeggiamenti di borgo Loreto, che si occuperà della sistemazione del muro e delle relative spese.
Passano i giorni e io mi dimentico del buco, fino a quando vedo Pallino tornare da una delle sue scorribande coperto di ragnatele. “Allora non hanno ancora aggiustato la cappella!”, mi dico. Sono certa che Pallino arriva da lì.
Decido di andare a parlare con qualcuno del comitato per approfondire la questione. Il muro non è ancora stato aggiustato, vengo a sapere, perché c’è la possibilità che il pertugio in realtà porti a qualcosa di interessante: tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento nel terreno intorno alla cappella era stato costruito un cimitero, in seguito rimpiazzato dall’attuale esistente in via Corio. Certo la cappella va preservata perché i ciriacesi le sono affezionati, ma la notizia è di rilievo e merita di essere verificata.
Arriva l’inverno e finalmente qualcosa si muove: viene effettuato con molta cautela uno scavo sotto il pavimento della chiesetta verso l’esterno ed effettivamente torna alla luce una piccola tomba, appartenuta a una nota famiglia ciriacese dell’Ottocento. Lo scoop giunge ai giornali, prima locali e poi nazionali, così curiosi e turisti arrivano a frotte per ammirare la tomba rimasta sotterrata per oltre centocinquant’anni, lasciando spesso un’offerta alla Madonna di Loreto.
È tornata l’estate. Da quest’anno il borgo non ha più problemi di budget per organizzare la festa annuale, mentre Pallino, diventato una celebrità locale, riceve frattaglie ogni volta che passa - piuttosto spesso in verità- davanti alla sua macelleria favorita.
L’unico problema è che Pallino è diventato Pallone a furia di ghiottonerie: mi toccherà metterlo a dieta stretta e sgridare il macellaio se voglio far tornare alla luce nei prossimi anni altre rarità presenti nel borgo.

domenica 23 ottobre 2011

Primi Progressi nel Progetto

Come procede con l'inglese? Bè, ieri abbiamo comprato a Giorgia due cd di lullabies e canzoni per bambini e stamattina ne abbiamo sentito uno. Certo che la vecchia fattoria (che tradotta diventa Old McDonald had a farm) in inglese è un po' strana!! Però è stato carino.
Ora mi cerco i testi e me li studio. E io che pensavo che dopo l'università avrei smesso... illusa!
Ho appena trovato qs sito http://learnenglishkids.britishcouncil.org/en/ con giochi, musica e tutto quel che si può immaginare in inglese! Favoloso! I giochi sono uno spasso.

sabato 22 ottobre 2011

La perfida Albione

Ho deciso di insegnare a mia figlia l'inglese. In che termini farò ciò è ancora da stabilire, ma intanto ho tirato fuori i libri di Beatrix Potter in lingua, ho cercato sul vocabolario parole a me finora sconosciute come nappy, bib e feeding bottle, voglio comprare un libro di lullabies con cd e impararle, mi sono confrontata con il blog bilinguepergioco.com, dove in effetti ho trovato moltissimi spunti interessanti, e ho visto il David Letterman Show in lingua, così, per vedere cosa ricordo e capisco ancora... per il vero molto poco!
Scriverò come procede l'esperimento.

venerdì 21 ottobre 2011

Fate figli (se non volete più un minuto per voi)!

Ho una figlia di tre mesi. Questo naturalmente significa che ho poco tempo per qualsiasi cosa e che non sono ancora arrivata all'interazione con lei che porta alla narrazione e, più tardi, all'invenzione condivisa di favole.
Per il momento conto di postare più che altro qualche breve sprazzo di quotidianità: ad esempio oggi, al compimento esatto del suo terzo mese, Giorgia ha preso direi in maniera consapevole le mie dita con le sue manine. Le guardava con molta attenzione e con quel faccino ad occhi sgranati che sempre fa quando è concentrata. Oggi ha anche imparato a mettere la linguetta fuori dalla bocca in una smorfia buffissima.
Tra qualche mese, quando forse smetterà di mangiare 10/12 volte al giorno, provvederò ad aggiungere favole e racconti.

venerdì 14 ottobre 2011

DIALOGO (SUR)REALE

Tipica scena nella sala d’aspetto di un qualsiasi dottore della mutua.

La stanza è gremita di anziani, che per meglio passare il loro tempo libero si ritrovano nella calda ed economica sala d’aspetto del medico a far quattro chiacchiere in libertà.

Giuseppe: Ciao Gaspare, come va questa settimana?
Gaspare: Ah, caro Giuseppe, purtroppo il piede mi duole ancora.
Giuseppe: Ti sei alzato con il piede sbagliato, allora! Ma cos’hai?
Gaspare: Mah, il medico mi ha detto che ho una cosa strana… come si chiama?! La gatta, mi pare… In breve, mangio troppa carne!
Giuseppe: Sì, ho capito cos’è. Devi mangiare più verdura. Inoltre, un mio amico ha sentito dire che con la gatta bisogna lavarsi poco e mangiare le uova. Io invece sono venuto solo a fare una ricetta, ma è un’ora che aspetto.
Gaspare: Sono tutti lunghi stamattina?
Giuseppe: Stanno dentro un quarto d’ora l’uno. Nemmeno avessero qualcosa di grave. Io ho da fare, non posso stare qui tutto il mattino.
Gaspare: Eh, lo so. Pensa che l’altra settimana c’erano addirittura 12 persone e io sono stato qui dalle 6,30 alle 8,45.
Giuseppe: Ma la dottoressa non apre lo studio alle 8,30?
Gaspare: Eh, ma se arrivo alle 8,30 chissà quando esco!
Giuseppe: Hai ragione, lunedì prossimo verrò anch’io alle 6,30. Possiamo trovarci qui davanti. L’unica cosa è che comincia a fare freddo. Bisognerebbe dire alla dottoressa di lasciare lo studio aperto la sera prima.

Entra una nuova mutuata.

Giuseppe: Ciao Carmela! Chi non muore si rivede!
Carmela: Scherzate sempre, voi due, ma io il mese scorso me la sono vista brutta. Mi è venuta una tosse così forte che non riuscivo più a stare al telefono con mia figlia. Stavo talmente male che non sono nemmeno venuta dal dottore. E voi come state?
Gaspare: Io ho la gatta. Non devo mangiare tanta carne.
Giuseppe: Io sono andato a fare le analisi in ospedale. Buon sangue non mente.
Carmela: È tanto che aspettate? Io ho fretta.
Giuseppe: Eh, cara Carmela, per la fretta la gatta ha fatto i gattini ciechi. E comunque io sono qui da più di un’ora. Oggi sono tutti malati.
Carmela (scandalizzata): Ma sti giovani, non vanno a lavorare che sono sempre dal medico?
Giuseppe: Non ci sono più i giovani di una volta. Oggi non hanno voglia di lavorare. Io quand’ero giovane andavo in giro anche in inverno con i pantaloncini corti, mica come adesso con le canotte di lana e i jeans firmati! Io a vent’anni spaccavo le pietre!
Gaspare: Io ho lavorato in fabbrica vicino ai forni per 25 anni. Oggi quei lavori lì non li vuole fare più nessuno, assumono i stra-comunitari per farli.
Giuseppe (annuendo): Lavoro saltami addosso, che scappo a più non posso.
Carmela: Meno male che i miei figli sono diversi! Loro sì che si danno da fare: uno lavora alle poste, mentre l’altro, poverino, è tanto malato e lo hanno licenziato perché stava spesso a casa in mutua. È proprio una vergogna. Uno non ha nemmeno più il diritto di star male.
Giuseppe (alzandosi): Finalmente tocca a me. Ci vediamo lunedì, eh, Gaspare?
Gaspare: D’accordo. (Guarda l’ora). Accidenti se è tardi! Dal dottore ci verrò domani, adesso devo andare in macelleria.

Illuminazione!

Di recente ho visto il film Julie and Julia (mi pare si intitoli così) e ho realizzato le vere potenzialità di un blog, almeno negli States. Non so se in Italia la cosa funzioni, però come si suol dire tentar non nuoce.
Ecco il proposito per i prossimi mesi: aggiornare il blog settimanalmente, e sperare che qualcuno legga!

giovedì 7 luglio 2011

Un'estate magica

“Ti devo svelare un segreto che serbo da sette anni, da quando ti conosco… Mi fai battere forte il cuore”. Queste le parole che cambiarono con un colpo di spugna la lunga e collaudata amicizia tra Giorgia e Matteo, che si erano conosciuti quasi per caso tra i sedili di un vecchio cinema in disuso, dove andavano entrambi a seguire le lezioni di diritto romano.
Matteo era già all'epoca un ragazzo carino e, proprio perché sapeva di esserlo, era anche un tipo arrogante e piuttosto strafottente. Giorgia era andata a conoscerlo unicamente per fare un favore a Martina, sua inseparabile compagna di studi, che moriva dietro a Matteo ma che non avrebbe mai trovato il coraggio di parlargli. Così Giorgia, più estroversa e disinvolta, aveva “indossato” il suo sorriso migliore ed era andata da Matteo: «Ciao, sono Giorgia. Non conosco ancora molte persone e ho visto che tu prendi sempre appunti. Mi potresti dare quelli di ieri? Sai, non sono venuta per via dello sciopero dei tram». Battito leggero delle lunghe ciglia brune, sorriso.
Naturalmente la sua assenza del giorno precedente era inventatissima, ma Giorgia contava sul fatto che certi tipi non vedono altro che se stessi. Lui l’aveva guardata con una certa aria di superiorità, soddisfatto che una ragazza decisamente attraente andasse a chiedergli gli appunti con il chiaro intento di conoscerlo, ma facendole capire che non era la prima e nemmeno l’ultima ad inventarsi una storia simile. Giorgia i ragazzi di quel tipo proprio non li sopportava; avrebbe tanto voluto fargli una bella pernacchia e andarsene da una persona che vedesse negli altri qualcosa di più che la propria immagine riflessa, ma poi, pensando a Martina, si era trattenuta e gli aveva rivolto il suo famoso sorriso da gatta. E aveva colto nel segno. Dopo un breve scambio di convenevoli, Giorgia era riuscita a presentare Martina a Matteo e, soddisfatta, pensava che il suo ruolo di cupido fosse terminato. Purtroppo, non aveva messo in conto il fatto che Matteo potesse trovare interessante una persona così diversa da lui e da tutti quelli che aveva frequentato fino ad allora. Nei giorni seguenti, Matteo aveva quindi cercato di coinvolgerla nella conversazione, ma Giorgia sembrava sempre pensare ad altro. Matteo avrebbe voluto catturare i suoi pensieri, analizzarli ad uno ad uno e farli propri in qualche maniera, ma lei era sfuggente, distratta; lui non riusciva a capirla e forse proprio per questo lo incuriosiva tanto.
Per un paio d’anni, Giorgia e Matteo si videro quasi esclusivamente durante le lezioni e si incontrarono per preparare gli esami più importanti, ma la loro amicizia non decollò.
Poi, un giorno d’autunno, qualcosa cambiò: Giorgia e Martina stavano andando insieme a cena da un amico comune, dove sapevano che avrebbero passato una serata in compagnia di gente nuova. Entrambe erano decisamente attraenti, pur essendo diverse come il giorno e la notte, ma Giorgia era più chiacchierona ed estroversa, aveva la qualità di fare sentire sempre ognuno a proprio agio e spesso le persone preferivano la sua calda risata e le sue battute ironiche. Martina, più timida e silenziosa, non se ne aveva a male, perché anche lei amava quelle caratteristiche di Giorgia, ma quella sera contava di conquistare Matteo. Così, quando lui si sedette accanto a Giorgia e non le tolse gli occhi di dosso per tutta la sera, non ci vide più e si prodigò in battutine acide e fuori luogo, che misero in imbarazzo i presenti. Giorgia non si spiegava tanto livore e, appena ne ebbe la possibilità, prese Martina da parte: «Cos’hai stasera? Cosa ti ho fatto?», «Ma non capisci? Sono due anni che vivo aspettando che Matteo mi noti e tu ora me lo stai portando via!», frignò Martina. Non era proprio da lei comportarsi così, ma Matteo non le lasciava un briciolo di razionalità. «Guarda che non ti portando via un bel niente – incalzò Giorgia – A me lui non piace e comunque so che interessa a te. E poi non mi sembra proprio di essere il suo tipo».
Come al solito, Giorgia viveva nelle nuvole e non si accorgeva del mondo che le girava intorno. Lei amava le favole e a volte dava l’impressione di viverci: lo sguardo perso nel vuoto e un accenno di sorriso sulle labbra morbide, riusciva a chiudere ogni contatto con chi la attorniava. A quel punto non notava più niente e nessuno e i tentativi di entrare nel suo piccolo mondo cadevano nel vuoto.
In effetti, Martina aveva visto giusto: dopo cena Matteo si offrì di dare a Giorgia uno strappo fino a casa, con il chiaro intento di parlarle. «Ti ringrazio, ma sono venuta con Marti e torno a casa con lei», rispose prontamente Giorgia, ma Matteo insistette talmente tanto che alla fine Martina esplose: «Vai pure con lui, tanto io ho di meglio da fare che portarti a casa! Comunque è proprio vero che fidarsi è bene e non fidarsi è meglio… e io che ti sono stata amica per anni… quanto tempo perso!». Giorgia era allibita e andando a casa con Matteo diede libero sfogo ai suoi pensieri, cercando però di non mettere in cattiva luce l’amica: «Voglio un gran bene a Marti, ma qualche volta proprio non la capisco: adesso, per esempio, si è messa in testa che tu sia attratto da me e che io in qualche modo ti stia portando via da lei… niente di più lontano dalla realtà, non trovi? Eppure ora farle cambiare idea sarà dura. Non mi puoi dare una mano?». Matteo non sapeva cosa rispondere: il cuore gli diceva di farsi avanti, ma la ragione di aspettare il momento giusto. Alla fine prevalse la ragione: «Ti do una mano a farle capire che tu non c’entri niente, ma di più non posso fare. Io non sono innamorato di lei, né mai lo sarò; non è il mio tipo». Poi, per sdrammatizzare un po’: «Lo sai che non mi piacciono le bionde, anche se hanno un viso d’angelo e gli occhi più azzurri che si possano immaginare; io sono un estimatore della donna mediterranea, meglio se formosa». Giorgia stette allo scherzo: «Bè, dille anche questo, così è sicura che non posso piacerti: sono più piatta di una tavola da surf!». Matteo aveva una gran voglia di dirle che Martina non si era sbagliata e che nel caso di Giorgia avrebbe tranquillamente fatto un’eccezione ai canoni estetici che normalmente prediligeva, ma ancora una volta riuscì a trattenersi. Per lui era davvero strano: di solito le ragazzine come Giorgia, spesso in jeans, con un filo di trucco, gli amatissimi brillantini sul viso e i codini, non le guardava nemmeno. Ma c’era qualcosa nello sguardo bruno o forse nelle lunghe gambe di Giorgia che catturava la sua attenzione.
Quella sera Matteo e Giorgia stettero per ore a chiacchierare davanti al cancello in ferro battuto della villetta di lei. Quella sera sancì il nascere di una nuova, insperata amicizia.
Nei giorni che seguirono, Giorgia tentò più volte di chiamare Martina, ma quest’ultima si fece sempre negare. Così, il martedì successivo Giorgia andò a trovarla, con il risultato di trovarsi di fronte un muro: «Non voglio più vederti né parlarti, per me sei come morta». Giorgia non riusciva a capacitarsi di un comportamento simile. A volte le grandi amicizie finiscono per molto meno, ma Giorgia pensava che queste cose capitassero sempre agli altri. E invece stavolta era successo a lei e benché fosse una persona testarda alla fine dovette cedere e smettere di chiamare l’amica.
Erano passati cinque anni da quel giorno: Giorgia si era laureata in giurisprudenza e faceva pratica presso un noto studio legale, a Matteo era rimasto un solo esame da dare, la loro amicizia si era rafforzata ogni anno di più, mentre di Martina tutti e due avevano perso le tracce.
Nell’ultimo anno Giorgia e Matteo avevano preso a vedersi di frequente e l’ultima estate erano andati in Grecia insieme: Giorgia aveva vinto un viaggio con una lotteria di paese e il suo primo pensiero era corso a Matteo. Così gli aveva telefonato e, nel giro di due giorni, si trovavano su un charter malridotto, in volo per Creta. Il viaggio aereo era stato fonte di ilarità, forse per superare la tensione, perché i due prima di salire sul velivolo avevano visto una vite cadere dalla punta di un’ala. «Cominciamo bene – aveva commentato Matteo – Non siamo ancora saliti e perde già i pezzi. In volo cosa succederà?», anche se in realtà tutto quello che era successo era che la compagnia aveva fornito loro un panino gommoso per il pranzo e che l’hostess, una ragazza giovanissima, aveva rovesciato addosso a Matteo una tazza di caffè caldo. Ma lui era così felice di trovarsi lì con Giorgia che quasi non aveva sentito il bruciore.
Appena sbarcati, li avevano accolti una folata di Meltemi, il vento caldo che arriva dal Nord, e alcuni giovani indigeni vestiti con i costumi caratteristici. Usciti dall’aeroporto, erano stati accecati dalla luce intensa che si rifletteva sulle lamiere delle auto e sui vetri dei palazzoni che circondavano la struttura; avevano chiamato un taxi ed erano andati alla ricerca dell’albergo loro assegnato.
L’hotel si trovava su un leggero pendio, che però con il caldo diventava ai loro occhi ripido come l’Everest, ed era composto da tanti piccoli edifici, sviluppati in larghezza invece che in altezza, tutti candidi come la neve. A ridosso degli edifici più in basso, probabilmente i primi ad essere stati costruiti, c’era una meravigliosa bouganvillea violacea, che emanava un profumo intenso e che in parte si arrampicava sui muri delle camere, regalando una lieve frescura. Giorgia e Matteo andarono subito alla reception per avere la camera. Naturalmente, era in una delle palazzine più in alto e i fattorini greci, non esattamente gentiluomini, lasciarono che Giorgia si portasse tutte le valige. Dopo aver arrancato per quelli che a Giorgia erano sembrati gli stessi chilometri della maratona di New York, scoprirono che si trattava di una camera con letto matrimoniale. Mentre Matteo già si sfregava mentalmente le mani, Giorgia, come suo solito, prese il toro per le corna e tornò di volata alla reception per farsi dare una camera con due lettini. Ottenuto quello che voleva, finalmente si rilassò e uscì sul terrazzo, che era collegato alla loro nuova camera. Da lì si poteva vedere il mare e a Giorgia sembrava quasi di scorgere l’Africa, molto, molto lontano. Giorgia respirò a fondo: il profumo della salsedine le piaceva tantissimo e la brezza leggera portava insieme all’odore del mare parecchi aromi sconosciuti, forse un po’ penetranti ma piacevoli. Matteo la raggiunse: mai Giorgia gli era sembrata bella come in quel momento, con i lunghi capelli lisci scompigliati dal vento, i pantaloncini corti un po’ sgualciti per il viaggio e le guance arrossate per il gran caldo. Si fermò ad osservarla estasiato. Lei era lì, davanti alla balaustra con gli occhi chiusi che inspirava l’aria salmastra, completamente immersa nel suo mondo. Matteo sentì una fitta: voleva entrare nei suoi pensieri e invece, ancora una volta, sentiva di non farne parte. Giorgia ad un tratto si girò, gli sorrise e l’incanto del momento si spezzò: «Cosa stai facendo lì impalato come un baccalà? Cambiamoci e andiamo subito in spiaggia, non vedo l’ora di buttarmi in quell’acqua magnifica!». E corse via, come una bimba dispettosa, facendogli una smorfia con il viso.
Dopo un quarto d’ora erano in spiaggia e già Giorgia si toglieva pantaloncini e maglietta per buttarsi in quell’azzurro che incantava. Il costumino nero con bagliori argentei faceva risaltare la sua pelle diafana e il fisico acerbo la faceva sembrare una quindicenne. Matteo la adorava anche per quello: non aveva solo l’aspetto della ragazzina, ma anche una sorta di spensieratezza adolescenziale che la distingueva da tutte le sue coetanee e la rendeva unica. Giorgia aveva sempre il sorriso sulle labbra e la battuta pronta, e benché non sempre la vita le sorridesse, lei sorrideva sempre alla vita. A volte sembrava davvero una ragazzina indifesa, ma quando tirava fuori la grinta dimostrava sotto l’aspetto fragile ed ingenuo un carattere forte e determinato.
Fecero il bagno insieme, tra spruzzi e risate, e al tramonto tornarono in albergo per cambiarsi e cenare. Il menù prevedeva il piatto tipico greco: la moussaka, un pasticcio di pasta e carne che in un primo momento guardarono con diffidenza. Giorgia lo assaggiò per prima e, al suo via, anche Matteo diede l’assalto al piatto. L’atmosfera del locale piaceva ad entrambi: le luci soffuse, il profumo di fiori, i colori vivaci e i camerieri dall’aria severa li facevano sorridere.
La sera decisero di andare a ballare, così si incamminarono verso il centro della città, dove entrarono nel pub che sembrava più affollato. Al loro ingresso, parecchi ragazzi si voltarono ad osservare Giorgia, che era in forma smagliante nonostante la stanchezza del viaggio, e Matteo provò una fitta di gelosia. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia, baciarla e gridare al mondo che lei era solo sua, ma ancora una volta qualcosa lo trattenne.
Ballarono tutta la notte e quando andarono a dormire albeggiava già. Ma Matteo non riuscì ad addormentarsi e passò buona parte delle ore seguenti in estatica contemplazione di Giorgia, che con il pigiama a quadretti rosa e azzurri sembrava un angelo. Quando finalmente anche Giorgia si svegliò era troppo tardi per la colazione in albergo, così decisero di andare a cercare un localino sul mare che servisse qualcosa di fresco. Trovarono un piccolo bar che dava direttamente sulla spiaggia, con le sedie e i tavolini in vimini chiaro e un pergolato ricoperto di foglie di edera, che garantiva ombra e frescura. Si sedettero e ordinarono la colazione: per Giorgia una macedonia di frutta fresca, per Matteo uova strapazzate e bacon. «Sei peggio dei tedeschi, come fai a mangiare quelle schifezze appena sveglio?», lo apostrofò Giorgia. Matteo non rispose, ma se Giorgia avesse potuto leggergli nel pensiero avrebbe capito il motivo di quella colazione: lui non era affatto sveglio da poco. Si godettero la brezza fresca che veniva dal mare e il cibo, scherzando sulle diverse abitudini alimentari delle popolazioni. Giorgia ricordava di aver visto da qualche parte una cartolina in proposito, suddivisa in quattro quadrati: in uno c’era una coppia di italiani con davanti un piatto di spaghetti ed una bottiglia di vino rosso con la scritta “Buon appetito”, nel secondo una coppia di francesi con una porzione di patè, una baguette e una bottiglia di champagne con la scritta “Bon appetit”, nel terzo una coppia di tedeschi con würstel, crauti e birra e la scritta “Guten appetit” e nel quarto una coppia di inglesi con mille scatolette dall’aria triste e scialba e la scritta “Never mind”. Glielo raccontò e scatenò così una serie di battute sul cibo e sulle usanze ad esso legate.
Quando finalmente furono sazi andarono in spiaggia, dove affittarono ombrellone e lettini, per dedicarsi ognuno alla sua attività preferita: Giorgia cominciò a leggere un libro sulle assassine più famose della storia, mentre Matteo andò in cerca di un giornale sportivo. Nelle ore più calde del pomeriggio, quando neanche l’aria del mare serviva a dare un po’ di sollievo, decisero di fare il bagno. Inforcarono pinne e maschera e andarono insieme alla scoperta della fauna e della flora del posto. Purtroppo i pesci dalle sfumature accese sono tipici di altri lidi, ma Giorgia e Matteo si accontentarono di osservare le sardine argentee che sfrecciavano di tanto in tanto. Seguendo uno di questi trovarono una piccola grotta sottomarina, dove forse sarebbe potuto entrare un bambino. Ovviamente loro erano troppo alti, ma questo non gli impedì di curiosare a lungo nei paraggi e di scoprire delle conchiglie bellissime. Matteo non si ricordava di essere mai stato tanto a suo agio con una persona. Giorgia riusciva a farlo rilassare e a far emergere il suo lato più infantile. Quando uscirono dall’acqua, l’arsura si era calmata, così poterono godersi il sole. Giorgia aveva la pelle delicatissima, per cui si fece spalmare da Matteo diversi strati di crema a protezione totale, ma nonostante questo la sera aveva la pelle arrossata e il naso dello stesso colore di quello di un ubriacone.
Cenarono in albergo, quindi decisero di andare di nuovo in centro per bere qualcosa o “fare quattro salti”. Giorgia quella sera indossava un paio di pantaloni alla Capri piuttosto aderenti e una maglietta scollata sulla schiena e Matteo avrebbe voluto metterle un sacco di juta addosso perché lei era davvero uno schianto e i ragazzi non le toglievano gli occhi di dosso.
Dopo aver girato per i locali più affollati della via, si fermarono in un disco pub piuttosto modesto ma dall’aria simpatica, il “Chico latino”. La musica era quella preferita di Giorgia: salsa, merengue, cha-cha-cha, mambo e affini. Matteo non conosceva quel tipo di danze, ma Giorgia era un’ottima insegnante, così trascorsero più di un’ora a provare i passi dei diversi ritmi. A metà serata lui si mise da parte con la scusa che non aveva più voglia di ballare: la realtà era che non si stancava mai di guardarla e, anche se vederla ballare così stretta con altri ragazzi gli procurava forti fitte di gelosia, la sua espressione felice e spensierata lo ripagava del “sacrificio” che gli sembrava di fare. Tornando a casa, quando lei gli chiese dove era rimasto nascosto per buona parte della serata, Matteo non potè frenarsi dall’aprire almeno in parte il suo cuore: «Mi ero messo in disparte per osservarti meglio senza metterti in imbarazzo. Sei bellissima quando balli, ti sorridono anche gli occhi e mi sembri una ragazzina. Poi hai un sorriso che annienta…», ma Giorgia già lo interrompeva: «Fai attenzione con i complimenti: potrei anche abituarmi!» e si lanciava in una piroetta.
Per il giorno successivo avevano programmato una gita a Santorini, un’isola vulcanica quattro o cinque ore di nave più a nord di Creta, così rientrarono un po’ prima per potersi riposare qualche ora. Le quattro del mattino arrivarono comunque in fretta e la levataccia fu dura per entrambi. Fecero una colazione frugale al bar dell’albergo e andarono al porto a prendere “Princesse”, il traghetto che doveva portarli nell’isola bianca. Anche a causa del gran caldo, il viaggio fu lunghissimo, ma la stanchezza venne ripagata da quello che trovarono al loro sbarco: un succedersi di abitazioni bianche dall’indubbio fascino, in parte diroccate, costruite a ridosso della costa scoscesa; un panorama degno dei migliori versi della poetessa Saffo.
Tutto quel bianco riluceva e abbagliava persino un po’, ma Giorgia e Matteo ne furono affascinati e camminarono parecchio, nonostante la temperatura sfiorasse i quarantacinque gradi, alla ricerca degli angoli più suggestivi da immortalare per sempre nella memoria grazie alla macchina fotografica. La giornata corse via veloce, tra una risata e una nuova scoperta, e si trovarono alle quattro del pomeriggio a correre ridendo come matti per l’unica via, esclusa la piccola funicolare, che permette di tornare al porticciolo di Santorini: una lunga scalinata lisa dagli anni e dagli zoccoli degli asinelli, tipici della zona, che scarrozzano i turisti su e giù per l’isola. Giorgia rischiò persino di perdere un dito del piede, quando un asinello le passò talmente vicino da costringerla a buttarsi sul muretto che costeggia la ripida scalinata, ma questo non le tolse il buonumore.
Sul traghetto che doveva riportarli a Creta, Giorgia si accoccolò vicino a Matteo, con l’intento di riposarsi finalmente un po’, e Matteo approfittò dell’occasione per stringerla forte a sé ed esternarle finalmente i suoi sentimenti: «Ti devo svelare un segreto che serbo da sette anni, da quando ti conosco… Mi fai battere forte il cuore». Giorgia subito pensò ad uno scherzo, ma quando i loro sguardi si incrociarono capì che c’era poco da scherzare. Il tempo le sembrò dilatarsi all’improvviso e prima che potesse rispondere qualsiasi cosa Matteo la baciò. Fu un bacio dolcissimo e delicato, solo uno sfioramento di labbra, ma che la turbò profondamente. Allora cercò di alleggerire la tensione con uno scherzo e, per l’emozione, cominciò a ridere a crepapelle. Matteo non sapeva cosa pensare: le era piaciuto o non ne voleva sapere? Quando finalmente Giorgia riuscì a calmarsi si spiegarono: «Scusa per la reazione isterica – disse lei – Ma da te proprio non me lo aspettavo! Siamo amici da una vita e non ti avevo mai guardato sotto questo aspetto, però devo ammettere che baci bene…». Matteo finalmente si rilassò e le fece un sorriso malizioso: «Dici che bacio bene perché non hai ancora visto il resto…», ma Giorgia gli fece la lingua e scappò via. Lui la rincorse e quando l’acciuffò le diede il bacio appassionato che teneva dentro da mesi, incurante del fatto che non fossero soli.
I restanti tre giorni della vacanza furono magici per entrambi e a Giorgia sembrò di vivere in una favola. Aveva solo paura che al ritorno in Italia tutto sarebbe cambiato, che i problemi di ogni giorno li avrebbero divisi e che le incomprensioni dovute all’educazione molto diversa che avevano ricevuto alla fine avrebbero sopraffatto questo amore appena sbocciato.
Ma il tempo le diede torto: al loro ritorno Matteo dimostrò quanto ci tenesse compiendo il servizio civile in una biblioteca per poter studiare e laurearsi il prima possibile e pensare quindi ad un futuro con lei.
L’estate seguente, quando partirono per la loro seconda vacanza, Giorgia era stata assunta nello studio dove faceva il praticantato e Matteo si preparava per il concorso di ammissione in magistratura, mentre avevano saputo che Martina, grazie alla quale si erano incontrati, aveva definitivamente abbandonato gli studi per aprire un negozio di telefonia. Si concessero quindici giorni al mare, a Lecce, per non andare troppo lontano: volevano risparmiare perché in maggio si sarebbero sposati. Durante la vacanza, in effetti, Giorgia e Matteo si divertirono a guardarsi intorno in cerca di possibili idee e suppellettili per la casa che, con difficoltà mista a tanto entusiasmo, stavano acquistando. Era un bilocale al terzo piano di una palazzina anni ’70, senza ascensore e piena di acciacchi per la “vecchiaia”, ma a loro sembrava un castello. Lo arredarono con la fantasia più e più volte, per poi scontrarsi con la realtà del mutuo da pagare e delle rate per i mobili, che li portavano qualche volta ad accontentarsi.
Il 28 maggio finalmente giunse. Giorgia scese dalla carrozza che avevano affittato per l’occasione raggiante e bellissima, avvolta in una nuvola di tulle rosa pesca e con i lunghi capelli raccolti in un morbido chignon. Gli invitati, pochi amici di sempre oltre ai parenti, erano emozionatissimi, come gli sposi. La cerimonia fu davvero toccante: Veronica, la migliore amica di Giorgia, aveva preparato una preghiera speciale da leggere al momento dell’offertorio e quando la lesse Giorgia non riuscì a trattenere le lacrime. Subito dopo il pranzo, tenutosi in un ristorante un po’ fuori mano, Giorgia e Matteo partirono per la luna di miele: Santorini e le altre isole della Grecia, che avevano visto sbocciare il loro amore.
Dopo tre anni arrivarono ad aumentare la loro felicità Giulia e Beatrice, due gemelle bellissime, che da qualche giorno sono partite per la Grecia con due compagni di Università…