sabato 19 maggio 2012

Una Birba nel bosco

C’era una volta, ma c’è ancora oggi anche se ha qualche anno in più, una cagnetta vivace, ma così vivace, che quando non combinava un guaio lo stava sicuramente progettando. Questa cagnetta si chiamava Birba ed era arrivata nella famiglia di Ugo quasi per caso. Ugo e i suoi bimbi cercavano un cane da un po’ di tempo, ma non volevano un cane qualsiasi, no, volevano un cane con un carattere, un cane che fosse simpatico, a cui volere bene, da portare con sé andando a raccogliere le castagne o a pescare. Così, Ugo, Giulia e Vittorio erano andati moltissime volte al canile per cercare il cucciolo dei loro desideri, ma ogni volta tornavano a casa da mamma Beatrice delusi e a mani vuote. Finché un giorno Paola, un’amica della mamma, aveva telefonato dicendo che alcuni suoi conoscenti avevano una cagnetta proprio simpatica, forse un po’ birichina ma molto affettuosa. Purtroppo, questi suoi amici lavoravano entrambi fuori casa e la cagnetta da sola soffriva perché voleva compagnia. E quindi diventava dispettosa: portava i panni sotto il letto, rosicchiava il divano della nonna, faceva pipì sul tappeto persiano e via dicendo. - Che ne dici, Bea, ve la sentite di prendere una cagnetta così vivace?, aveva chiesto Paola. Beatrice non aveva saputo dire di no al pensiero di un cucciolo tutto il giorno a casa da solo a combinare guai, tanto più che lei lavorava in casa e poteva fargli compagnia. E così Birba era arrivata, per la gioia di Giulia e Vittorio, che non smettevano di abbracciarla, tirarle le orecchie e la coda, accarezzarla, far suonare le palline di gomma coloratissima che costituivano il suo corredo e chiamarla per giocare. Sembravano proprio matti di felicità. E in effetti lo erano. Birba aveva dimostrato il suo carattere giocoso appena era entrata in casa: non era ancora tra le braccia di Beatrice che già le aveva morsicato gli occhiali ed era scappata via con una lente in bocca! Qualche giorno dopo aveva rubato il cappello di paglia di Beatrice e lo aveva portato nella cuccia per morderlo un po’. Ma Beatrice aveva capito che Birba in fondo era buona, anche se un po’ vivace, così la coccolava il più possibile e la portava spesso a fare delle passeggiate nei prati perché potesse correre tranquilla e sfogare tutte le energie. Un giorno, Ugo, Giulia e Vittorio avevano deciso di andare a raccogliere le castagne e avevano portato Birba insieme a loro. Erano saliti tutti quanti sulla vecchia punto verde ed erano andati in montagna. Scesi dalla macchina, si erano incamminati per i boschi, in cerca di mele selvatiche e castagne. Birba non poteva credere alle sue narici: - Ma cosa sono tutti questi profumi?, pensava. Aveva sempre vissuto in città e non conosceva l’odore umido delle foglie cadute, il profumo delle more selvatiche né quegli strani esserini che strisciavano sotto le foglie. Birba era curiosissima e continuava a saltellare come una pazza dietro questa o quella foglia che si muoveva, correva più veloce che poteva da una parte e dall’altra e poi andava a mettere il naso in tutti i buchi che trovava. A un certo punto Birba si era guardata attorno: - Ma dove sono andati i miei padroni?, aveva pensato. Non sento più nemmeno le loro voci! Birba era subito tornata indietro, ma ormai era troppo tardi: si era persa! - Adesso come faccio?, aveva guaito disperata. Si era messa seduta a piangere, poi aveva deciso che la sua famiglia era molto importante per lei e che l’avrebbe ritrovata. Si era quindi alzata, in cerca di qualcuno che potesse darle una mano. Annusa e annusa aveva sentito un odore strano, più forte degli altri. Aveva messo il naso nell’ennesimo buco quando… ahia! Lo aveva tirato immediatamente fuori, con una spina proprio sulla punta. Subito dopo era spuntato il musetto di uno strano animale, tutto pieno di spine: - Ehi! Cosa ci facevi nella mia tana?, aveva detto una minuscola bocca. - Scusa!, aveva risposto Birba, Io non sapevo che fosse la tua casa. Mi sono persa nel bosco ed ero in cerca di qualcuno che potesse aiutarmi. Finalmente l’ho trovato. A proposito, io sono Birba, e tu? - Piacere, io sono Ciccio il riccio e vivo in questa foresta. Tu da dove vieni? - Dalla città. Sono venuta in macchina con i miei padroni ma ora li ho persi. Sai come si esce da questa foresta? - Certo! Se vuoi uscire devi tornare indietro lungo i cespugli di rovi, finché trovi il sentiero. Lì vicino c’è la casa di Ubaldo il leprotto. Se bussi educatamente lui ti aprirà e ti indicherà da che parte devi andare. Se vuoi trovare la porta di Ubaldo, guarda sotto la quercia più alta. Buon viaggio! - Grazie per l’aiuto, Ciccio, ma prima di andarmene devo sapere cos’è una quercia!, aveva detto Birba giusto prima che il riccio tornasse nella sua tana. - È un albero grossissimo, che fa le ghiande, non ti puoi sbagliare. - Va bene, grazie ancora, aveva urlato Birba cominciando a correre. In capo a pochi minuti Birba era arrivata di fronte a un fusto molto alto, proprio vicino al sentiero. Ci aveva girato attorno un po’ di volte senza vedere nessuna porta, quando a un tratto un orecchio irritato le era spuntato davanti: - E tu cosa fai, che è un po’ che giri attorno alla mia tana?, aveva detto Ubaldo stizzito. Birba, colta di sprovvista, aveva fatto un salto indietro. Poi si era ripresa: - Cercavo la tua porta. Mi sono persa e sto cercando di uscire dal bosco. Ciccio mi ha detto di arrivare alla quercia e poi di chiedere a Ubaldo. Sei tu? - Sì, sono io. Devi proseguire lungo il sentiero da quella parte, verso gli abeti. Quando ci arrivi chiama forte gufo Lucio. Non sarà molto contento di essere svegliato, ma ti dirà come proseguire, aveva risposto Ubaldo andandosene. Era stato così veloce che Birba non era nemmeno riuscita a ringraziarlo. Pazienza!, aveva pensato, e si era incamminata veloce. Nel frattempo, Ugo, Giulia e Vittorio si erano accorti che Birba era sparita, e la cercavano disperatamente. - Birba, dove sei andata?, singhiozzava Giulia. - Torna, ti prego! Senza di te non ci divertiamo, frignava Vittorio. Ugo correva tutto intorno, urlando con quanto fiato aveva in gola: - Birba, siamo qui! Birbaaaaaaaa! Ci senti? Ma niente, Birba non arrivava. Birba era giunta agli abeti, e chiamava gufo Lucio a gran voce. Dopo alcuni minuti, ecco un battito d’ali e una voce seccata: - Chi è che disturba il mio sonno?, aveva chiesto arrabbiato e ancora addormentato Lucio. - Sono Birba. Mi sono persa nella foresta. Per uscire da che parte devo andare? - Di là. Lucio aveva alzato un’ala e aveva indicato la direzione, rimettendosi a dormire. Birba aveva ricominciato a correre, chiedendosi come avrebbe proseguito dopo, quando aveva sbattuto in Germano il tasso. - Ahi! Ma sei matta a correre così per il sentiero?, si era lamentato Germano. - Scusa, ma mi sono persa e ho molta fretta di ritrovare i miei padroni. Manca ancora tanto per uscire dalla foresta? - No, sei quasi arrivata. Anche io vado da quella parte, se vuoi facciamo la strada insieme, aveva proposto Germano. - Va bene, grazie. Birba e Germano avevano corso assieme una decina di minuti quando erano sbucati in una radura. - Ehi, ma questo posto lo conosco!, aveva esclamato Birba. Subito dopo aveva sentito la voce di Ugo che la chiamava. - Ma questa è la voce del mio padrone! Evviva, li ho ritrovati!, aveva esultato. Ciao Germano, io vado dalla mia famiglia, grazie di tutto. Birba era sfrecciata nella direzione delle voci. - Bau, bau, eccomi padroncini! Birba non stava più nella pelle. Era corsa incontro a Giulia e le era saltata in braccio. Poi aveva leccato la faccia di Vittorio, che si era subito avvicinato. - Papà. Papà, guarda! Birba è tornata!, avevano gridato felici i bambini. Ugo voleva sgridare quella furfantella di una cagnetta, ma poi aveva capito che anche Birba si era un po’ spaventata in quell’avventura nel bosco, così aveva preso la borsa di castagne raccolte e si era incamminato con Giulia e Vittorio verso la macchina. A casa, Beatrice aveva preparato caldarroste per tutti e un bel piatto di pappa per Birba, mentre i bimbi le raccontavano la paura di aver perso il cucciolo tanto amato. Peccato che Birba non potesse parlare, quante cose avrebbe potuto raccontare quella sera!

sabato 12 maggio 2012

Progetto PA

Il progetto PA (che qui è Perfida Albione, non certo Pubblica Amministrazione) ha di recente ripreso un certo vigore, anche grazie a due fatti non del tutto legati alla mia volontà. Qualche mese addietro avevo infatti incontrato casualmente una signora (o dovrei dire ragazza visto che siamo praticamente coetanee?) inglese che passava sotto casa mia e con una certa faccia tosta l'avevo fermata per chiederle informazioni per eventuali chiacchiere in lingua con me e la pulcina. Dopo svariate discussioni con il marito che mi dava (per la verità continua a farlo) della maniaca dell'istruzione ad oltranza ad una bambina poco più che neonata, a marzo ho finalmente preso le redini in mano e chiamato la suddetta madrelingua per prendere accordi: da allora io e la pulcina facciamo felicemente due ore di conversazione la settimana con Mel, che si è rivelata oltretutto di una squisitezza e generosità inaspettate, consigliandoci e regalandoci persino alcuni libri non più usati dalla sua bambina. Questo fatto, che già da solo ha dato slancio al progetto, è stato affiancato da un altro avvenimento casuale: al mare ho incontrato una conoscente con un bambino di tre anni e un altro di un paio di mesi più giovane della mia, con i quali parla tranquillamente inglese, pur essendo italiana sposata con un italiano. Ci siamo confrontate sulle nostre rispettive esperienze e aver visto lei tranquilla nelle sue convinzioni nonostante l'inglese non sia nemmeno per lei la lingua madre mi ha rinfrancata. Perseverare sempre, mollare mai. Però con un motivatore affianco, magari.

venerdì 11 maggio 2012

Election day

Essendo ancora a casa in maternità e volendo restare in questa condizione il più a lungo possibile, cerco di raccimolare qua e là qualche soldino per le nostre necessità quotidiane, con tagli sul non necessario (cosa che dovrebbe imparare a fare anche il governo) e con attività come il segretario ai seggi elettorali, attività assai poco pagata, sigh sigh. Era la mia prima volta come segretario ma la fortuna ci ha concesso delle elezioni con due sole liste, nessuna discussione al momento dello spoglio e una vicina di seggio molto preparata, che mi ha dato parecchie dritte al momento giusto. E' stata una bella esperienza, anche considerato che ho passato i primi (quasi) tre giorni da nove mesi e mezzo senza la pulcina al seguito. Eravamo un po' preoccupati al pensiero di lasciarla in altrui mani, ma la cucciola ha retto benissimo la nostra assenza, facendosi coccolare da bis-zii e nonni di turno e beccandosi un surplus di baci e giochi al nostro rientro. Credo che questa esperienza abbia fatto bene a tutti: alla piccola che impara a stare anche con altre persone oltre ai genitori, ai nonni che non vedevano l'ora di stare con lei, a me che per qualche ora mi sono occupata di altro che non pappe e pannolini e, ultimo ma non ultimo, ai nostri portafogli. Alle prossime elezioni, dunque!