giovedì 25 giugno 2020

Amarezza

E così finisce un anno scolastico.
Si conclude un ciclo di studi.
Si cambiano scuola, maestre, amici.
Si cresce, insomma.
Tutto questo processo evolutivo avrebbe dovuto essere accompagnato dalla scuola, quella che si lascia e quella in cui si andrà. Avrebbero dovuto esserci saluti e abbracci alle maestre "vecchie" e timide conoscenze, almeno primi impatti, con le potenziali maestre nuove. Avrebbero dovuto esserci tour guidati alla nuova scuola per prendere confidenza con l'ambiente e le persone. Avrebbero dovuto esserci diplomi di fine anno, recite, saluti agli amici che non si incontreranno più.
E invece.
Invece una foto con il cappello da diplomati fatta in casa e inserita in un video dalle maestre, una blanda riunione su Teams con un paio di membri del nuovo corpo docente e di bambini che già frequentano la scuola nuova a rispondere a domande imbarazzate di fronte a uno schermo.
E mio figlio che dice che lui no, non andrà alle elementari a settembre, perché l'asilo non l'ha finito. "Non ho salutato le maestre, nè gli amici, nè i bidelli, nè la scuola. Non sono pronto per le elementari".
La sera vado a camminare e mi prende il magone ogni volta che passo davanti all'asilo se penso che da settembre non ci metterò più piede. E' un passaggio di crescita che non ho metabolizzato. E se non ci sono riuscita io, figuriamoci mio figlio.
Che pena. Io non trovo le parole per spiegargli adeguatamente perché questa società non ha trovato un modo per garantire ai bambini il saluto che meritano. Perché non capisco e non condivido la scelta. Si sarebbe potuto e dovuto fare di più per questi pargoli che domani vanno incontro al loro futuro senza un seppur minimo salvagente di conforto.

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